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lunedì 26 luglio 2010

Curiosità: come si risolve un labirinto...

Memore dell'esperienza vissuta da poco (vedi gita alle Ville Venete O_o) mi è rimasta la curiosità di sapere come ci si orienta in un labirinto.. Forse l'ho scoperto:

- E’ facile risolvere un labirinto bidimensionale di cui si conosca la mappa. E’ sufficiente annerire tutte le vie chiuse perché alla fine non rimanga che il percorso diretto, dall’ingresso alla meta.

Ben più complicato invece, orientarsi in un labirinto tridimensionale, senza una visione dall’alto, chiusi tra muri o siepi che non ci consentono di avere un’idea generale della sua struttura. Se il labirinto ha un solo ingresso, è però sufficiente tenere sempre la destra (o la sinistra) per ritornare sicuramente al punto di partenza, procedendo, per maggior sicurezza, con la mano destra (o la sinistra) appoggiata al muro.

E’ il metodo adottato nella versione cinematografica di Il nome della rosa: frate Guglielmo raccomanda ad Adso, il novizio che l’accompagna, per trovare l’uscita dalla labirintica biblioteca dell’Abbazia, di girare sempre a sinistra (anche se quest’ultimo, per prudenza, aveva segnato il percorso con un “filo d’Arianna” sfilacciando la sua maglia di lana).

                                Dal film Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud, 1986

Questo metodo è valido per risolvere i labirinti più semplici, altrimenti, per evitare di girare in tondo, in un percorso chiuso, è necessario trovare il modo di segnare ogni via in cui si passa, come pensa frate Guglielmo, secondo il racconto di Adso:

Uscire disse Guglielmo. Come se fosse stato facile. Sapevamo che la biblioteca era accessibile da un solo torrione, quello orientale. Ma dove eravamo in quel momento? Avevamo completamente perso l'orientamento.
















Una pagina dal quaderno, con il labirinto di Chartres, di Villard de Honnecourt (Bibliothèque nationale de France).

L'errare che facemmo, col timore di non uscire mai più da quel luogo, io sempre vacillante e colto da conati di vomito, Guglielmo abbastanza preoccupato per me, e indispettito per la pochezza della sua scienza, ci diede, ovvero diede a lui, un' idea per il giorno seguente. Avremmo dovuto tornare nella biblioteca, ammesso che mai ne uscissimo fuori, con un tizzone di legno bruciato, o un' altra sostanza capace di lasciare segni sui muri. "Per trovare la via di uscita da un labirinto," recitò infatti Guglielmo, "non vi è che un mezzo. A ogni nodo nuovo, ossia mai visitato prima, il percorso di arrivo sarà contraddistinto con tre segni. Se, a causa di segni precedenti su qualcuno dei cammini del nodo, si vedrà che quel nodo è già stato visitato, si porrà un solo segno sul percorso di arrivo. Se tutti i varchi sono già stati segnati allora bisognerà rifare la strada, tornando indietro. Ma se uno o due varchi del nodo sono ancora senza segni, se ne sceglierà uno qualsiasi, apponendovi due segni. Incamminandosi per un varco che porta un solo segno, ve ne apporremo altri due, in modo che ora quel varco ne porti tre. Tutte le parti del labirinto dovrebbero essere state percorse se, arrivando a un nodo, non si prenderà mai il varco con tre segni, a meno che nessuno degli altri varchi sia ormai privo di segni."

"Come lo sapete? Siete esperto di labirinti?"

"No, recito da un testo antico che una volta ho letto." "E secondo questa regola si esce?"

"Quasi mai, che io sappia. Ma tenteremo lo stesso. E poi nei prossimi giorni avrò delle lenti e avrò tempo a soffermarmi meglio sui libri. Può darsi che là dove il percorso dei cartigli ci confonde, quello dei libri ci dia una regola. "

"Avrete le lenti? Come farete a ritrovarle?"
 "Ho detto che avrò delle lenti. Ne farò delle altre. Credo che il vetraio non attenda altro che un'occasione del genere per fare una nuova esperienza. Se avrà gli arnesi giusti per molare i cocci. Quanto ai cocci, in quella bottega ne ha molti. " […]

"E il metodo di cui dicevate ieri? Non volevate percorrere il labirinto facendo segni col carbone?"

"No," disse, "più ci penso, meno mi convince. Forse non riesco a ricordare bene la regola, o forse per girare in un labirinto bisogna avere una buona Arianna che ti attende al la porta tenendo il capo di un filo. Ma non esistono fili così lunghi. E anche se esistessero, ciò significherebbe (spesso le favole dicono la verità) che si esce da un labirinto solo con un aiuto esterno. Dove le leggi dell'esterno siano uguali alle leggi dell'interno. Ecco, Adso, useremo le scienze matematiche. Solo nelle scienze matematiche, come dice Averroè, si identificano le cose note per noi e quelle note in modo assoluto."

“Allora vedete che ammettete delle conoscenze universali”.

“Le conoscenze matematiche sono proposizioni costruite dal nostro intelletto in modo da funzionare sempre come vere, o perché sono innate o perché la matematica è stata inventata prima delle altre scienze. E la biblioteca è stata costruita da una mente umana che pensava in modo matematico, perché senza matematica non fai labirinti. E quindi si tratta di confrontare le nostre proposizioni matematiche con le proposizioni del costruttore, e di questo confronto si può dare scienza, perché è scienza di termini su termini. E in ogni caso smettila di trascinarmi in discussioni di metafisica. Che diavolo ti ha morso oggi? Piuttosto, tu che hai gli occhi buoni, prendi una pergamena, una tavoletta, qualcosa su cui far segni, e uno stilo... bene, ce l' hai, bravo Adso. Andiamo a fare un giro intorno all'Edificio, sino a che abbiamo ancora un poco di luce."

“Come sarebbe bello il mondo – sospira frate Guglielmo, perso nella biblioteca – se ci fosse una regola per girare i labirinti”. Una regola che cerca di ricordare, ma che, almeno ufficialmente, al tempo di Il nome della rosa, siamo nel 1327, non esisteva ancora. Una regola che arriverà soltanto 555 anni più tardi, nel 1882, presentata da Edouard Lucas nelle sue celebri Récréations mathématiques, e da lui attribuita a M. Trémaux. E’ un metodo molto simile a quello riportato nel “libro antico” recitato, senza molta convinzione, da Frate Guglielmo. Ed è infallibile per risolver qualsiasi labirinto, anche il più complicato. Il metodo di Trémaux stabilisce che ad ogni incrocio nuovo, mai attraversato prima, si possa prendere una via qualsiasi. A ogni incrocio vecchio, già raggiunto in precedenza, attraverso una via nuova, o a un’estremità chiusa di una via, si debba invece ritornare indietro, seguendo la via appena percorsa. Quando si arriva a un incrocio vecchio per una via vecchia, si prende, se esiste, una via nuova, oppure, in caso contrario, si riprende una via vecchia. Nessuna via, infine, deve essere percorsa più di due volte.

In pratica, come suggerisce Martin Gardner (Giochi matematici, vol. II, Sansoni, 1973), si segni il percorso nel labirinto con una linea lungo un suo lato, ad esempio, il destro, seguendo la regola precedente, con l’unica accortezza di non prendere mai una via segnata sui due lati, cioè già percorsa nei due sensi.

Pietre Brueghel, I mietitori, 1565, l’opera che ha ispirato Greenaway per il labirinto nel campo di grano del suo film L'ultima tempesta

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