* LA PURSELADA (novembre)
Tra le tradizioni più radicte, nella nostra zona, possiamo annoverare quella dell'uccisione del maiale. In questo caso però, forse è più giusto parlare non tanto solo di tradizione ma più verosimilmente di vero e proprio bisogno. L'allevamento del maiale si faceva per sopperire alla provvista della carne per il periodo autunno-invernale perciò rappresentava una delle più importanti riserve alimentari perchè le carni grazie a tecniche antiche consolidate si conservavano a lungo. Infatti, per tantissimo tempo, il maiale (che pure era allevato con sacrifici), è stata una delle poche fonti di sostentamento per interi nuclei familiari, perciò tutte la parti del maiale ucciso erano adoperate e conservate nei modi più svariati per essere poi consumate per alimentare la famiglia durante tutto l'arco dell'anno.
Nell'alimentazione contadina, il maiale costituiva, insieme al pollame, la principale fonte di proteine animali.
Per assicurare una migliore conservazione delle carni da lavorare, la macellazione del maiale avveniva nel periodo più freddo dell'anno, dicembre e gennaio.
La macellazione del maiale era un momento di festa per tutta la famiglia: subito dopo l'uccisione veniva "assaggiato", cuocendone le "animelle" (cervello e midollo spinale) e le "rifilature", vale a dire i pezzetti di carne che si ottenevano lungo il taglio di sezionatura della bestia.

Del maiale, in definitiva, non si sprecava nulla: le setole erano utilizzate per fabbricare pennelli, gli ossi venivano bolliti per fare brodo e sugo e la cotica entrava nella preparazione di "coppa" e cotechini.
Per il resto, le bistecche e le "costórélle" alla brace, nonché gli zampetti in umido (con i fagioli) li conoscono tutti e i nostri salumi... "parlano" da soli, basta assaggiarli!
Oggi, cerchiamo di tenere viva la memoria di questo importante momento della vita contadina, riproponendo ogni anno, in novembre, la nostra "purselada", cena tipica tutta a base di maiale, che, una volta seguiva la macellazione del suino.
* Il falò di Sant' Antonio (17 gennaio)
La festa di Sant'Antonio abate, celebrata ogni anno il 17 gennaio, era in passato una delle ricorrenze più sentite nelle comunità contadine. Anche oggi è piuttosto diffusa, soprattutto nelle zone rurali e nei paesi della provincia dove le tradizioni sono molto più radicate che nelle grandi città.

I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di Sant'Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio abate un vero e proprio "santo del popolo". Egli è considerato il protettore per eccellenza contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' infatti invocato come protettore del bestiame (che durante la festa viene benedetto), dei porcai, dei macellai e dei salumieri e la sua effigie era in passato collocata sulla porta delle stalle. Il santo veniva invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes ("herpes zoter") nota appunto come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro". Questo morbo invase ripetutamente l'Europa tra il X e il XVI secolo, e fu proprio in questo periodo che si diffuse la credenza nei suoi poteri contro questo male. Narra la leggenda che un gentiluomo francese di nome Gastone pregò a lungo il santo per ottenere la guarigione del figlio, destinato a soccombere all'infezione. Ottenuta la grazia, Gastone dimostrò la propria riconoscenza dedicandosi alla cura degli ammalati di "fuoco sacro" e fondando per loro un ospedale. Nel 1095 papa Urbano II approvò l'ordine degli Antoniani, che appunto avranno in tempi successivi proprio il compito di prestare aiuto ed assistenza a questi malati. Antonio è anche il protettore dei fornai, che un tempo tenevano l'effigie del santo nella loro bottega. Il 17 gennaio a Milano si usava andare nella chiesa a lui intitolata a ricevere la benedizione contro le malattie; subito dopo si andava in fiera; chiudeva il tutto una processione durante la quale i fornai portavano ai piedi della statua del santo le loro offerte. Venerato a gennaio - che era il mese dei matrimoni -, era invocato dalle ragazze da marito che cantavano "Sant'Antoni gluriùs, damm la grazia de fa 'l murùs, damm la grazia de fal bèll, Sant'Antoni del campanèll".La festa di Sant'Antonio è ancora oggi molto viva in Brianza, dove la si celebra tra frittelle e vino brûlé, e soprattutto tra i falò. Antonio infatti era considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni i riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e druidica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante, ad esempio in occasione delle feste di Beltaine e di Imbolc: quest'ultima ricorrenza, che veniva celebrata il primo febbraio, salutava la fine ormai prossima dell'inverno e il ritorno imminente allungarsi e della bella stagione, con le giornate che iniziano ad allungarsi.
Una festa, dunque, di origini antichissime, festeggiare la quale significava e significa, ogni anno, scatenare le forze positive e, grazie all'elemento apotropaico del fuoco, sconfiggere il male e le malattie sempre in agguato. Una festa di buon auspicio per il futuro e all'insegna dell'allegria: in passato, ma anche oggi.
Ancora oggi, ogni 17 gennaio si svolge il tradizionale FALO' DI S. ANTONIO con ceci, vin brulé, dolci tipici locali (in collaborazione con il Comitato "La Vecia").